Esce al Teatro Off Off lo spettacolo "Kim, o amor è a cura", storia di una persona trans. Abbiamo incontrato la protagonista, Lucilla Diaz, per un approfondimento.
Come nasce l’idea di questo spettacolo?
Nasce nel momento in cui ho letto il testo “Unghie” di Marco Calvani. Nel leggerlo mi sono sentita toccata profondamente nell'anima. Si è creata un'identificazione profonda con il personaggio del testo, ed è nata una necessità, quasi un'urgenza, di raccontare questa storia, che è la storia di una transessuale, pur essendo io una donna. Sono comunque sempre storie di esseri umani con tutti i nostri bisogni, tutte le nostre mancanze.
Vi è un aspetto in particolare che ti ha colpito?
Sì, c’è soprattutto quello dell’accettazione della diversità. Ovviamente l'identificazione che ho provato col personaggio, e quindi con l'essere umano, non potrà mai essere ciò che una donna trans sente e soffre sulla propria pelle. Immagino sia qualcosa di molto difficile, ma in qualche luogo le nostre storie si incontrano e io sono profondamente toccata da questa storia. Quello che andrà in scena sarà un rivivere, un riproporre, alcuni momenti della vita di questa donna trans. Sento profondamente, con tutte le mie cellule, attraverso tutti i miei pori questa identificazione.
Come hai conosciuto il testo “Unghie”?
Nel 2010 Monica Scattini, molto amica di Marco Calvani, gli chiede di scrivere un racconto, per la rassegna “Garofano Verde”, sulla vita di una donna transessuale. Iniziano quindi a fare una serie di interviste a delle donne transessuali brasiliane in Italia. Ha così origine il testo che viene portato alla suddetta rassegna LGBTQ+ al Teatro Belli. Quando ho avuto modo di leggere il testo me ne sono profondamente innamorata e ho chiesto a Marco, che è anche molto amico mio, di allestire questo spettacolo. Lui è stato d’accordo ma Monica voleva essere l’interprete della prima nazionale a Roma, dopodiché sarebbe stato possibile lasciare che la rappresentazione fosse fatta da altri, e così è stato.
Cosa è accaduto dopo?
Nel 2012 decido di andare in Brasile e chiedo a Marco i diritti. Arrivata in Brasile mi ritrovo all’interno di una lotta della comunità trans che rivendica il proprio diritto alla rappresentatività nelle arti. Cioè gli artisti della comunità transgender chiedevano che a raccontare le loro storie fossero loro stessi e non gli artisti cis gender (persone che si riconoscono nel genere in cui sono nati n.d.r.), di avere maggiore spazio nel mondo dello spettacolo. Quindi vi erano proteste davanti ai teatri, una situazione di gran confusione.
Di fronte a questa situazione cosa hai fatto?
Personalmente rispetto e appoggio le loro recriminazioni però, dal mio punto di vista, nel momento in cui racconto una storia getto una luce su una tematica e apro alla possibilità di una riflessione. Inoltre ero consapevole che se non l’avessi fatto io nessun altro lo avrebbe fatto e sarebbe perdurato questo silenzio, mentre invece il teatro è proprio il luogo che ti dà la possibilità di denunciare, di raccontare quello che sta succedendo nel mondo. Il teatro nasce come luogo politico, il teatro è politico come diceva Bertolt Brecht.
E quindi?
Comincio a frequentare la comunità trans di Rio de Janeiro per capire che cosa stava succedendo, quasi per chiedere il permesso per rappresentare questa storia. Capisco poi che il problema non è solo legato al protagonismo scenico ma riguarda l’inclusione nei progetti a loro riferiti. Quindi organizzo un'equipe tutta LGBTQ+ e coinvolgo un'attrice transgender e insieme scriviamo un monologo politico dove si racconta la condizione della persona transgender nella società brasiliana. Vengo a scoprire così che il Brasile è il Paese ove sono uccise più persone trans nel mondo.
Vi è un motivo?
In Brasile c'è un sentimento transfobico legittimato anche dall’ex presidente Bolsonaro che ha fatto una dichiarazione in cui dice di preferire un figlio morto piuttosto che gay. Pensiero che ha trovato forza in alcune frange e scaduto in atti d’intolleranza.
Una situazione davvero non accettabile…
Io non potevo ignorare tutto questo. Era chiaro che il testo di Marco necessitava di un adattamento. Insieme agli artisti della comunità transgender abbiamo creato un nuovo testo, non più “Unghie” ma “Kim, l'amore è la cura”. Nel mentre Bolsonaro e il suo governo hanno decretato che tutto ciò che riguarda un orientamento sessuale non canonico e una manifestazione del proprio sentire, era una malattia e quindi ha creato la “cura gay”! Da qui nasce il titolo in cui si afferma che l’amore è la cura. E’ nata la necessità di urlare alla platea quello che stava succedendo.
Come si svolge la rappresentazione?
In Brasile è stata una rappresentazione a due voci in cui l'attrice crea un ponte per arrivare a Kim. In scena io sto nella casa di Kim, ogni tanto esco per parlare col pubblico e racconto le sue vicissitudini. Ho incluso un’artista trans e creato per lei un monologo politico all'interno del quale denuncia la condizione delle persone trans.
E qual è?
Il Brasile è il Paese dove vengono uccise più persone trans nel mondo, dove il 90% della comunità trans è costretta a ricorrere alla prostituzione per sopravvivere dato che non ha altre opportunità.
Se un ragazzino o una ragazzina viene cacciata da casa a 13/14 anni, perché i genitori non accettano il suo sentire, sono costretti a prostituirsi, a essere vittime della delinquenza, ad andare incontro alle droghe e all'alcool, quindi diventa un problema sociale.
Qualcuno riesce a sfuggire a questa situazione?
Qualcuno ci prova a studiare, a crearsi un futuro ma sono spesso vittime del bullismo, dell’intolleranza. Subiscono una violenza verbale, sono esposti a insulti, offese e maltrattamenti. E’ una situazione molto brutta.
E’ sempre così?
Naturalmente parliamo di persone socialmente svantaggiate. Se sei ricca, bella e famosa vieni accettata, ma noi parliamo di quelle meno belle, povere, che vivono nelle periferie, di colore, che non possono permettersi tutte le cure per armonizzare un corpo in cui non si riconoscono. Porto in scena questa realtà brasiliana.
Nello spettacolo fai riferimento a fatti realmente accaduti?
Tutto quello che raccontiamo nello spettacolo sono fatti accaduti veramente. Non c'è una parola del testo che non sia stata letta e approvata dalla comunità transgender e dalle attiviste brasiliane. C’è poi la storia di Leticia Diniz, una modella trans brasiliana che si è suicidata a 24 anni buttandosi dal settimo piano. Prima di morire ha lasciato un diario, pubblicato in un libro in Brasile “L’inevitabille storia di Leticia Diniz”, in cui racconta del suo sogno di incontrare un uomo che l’accolga, con cui abbia la possibilità di costruire una vita insieme. Però tutto ciò non accade. Vive l'abbandono, la delusione finché non c'è la fa più. Abbiamo trasposto nello spettacolo un monologo tratto dal suo libro.
Come è andata la rappresentazione?
In Brasile ho fatto tre stagioni ed è stata dura perché era proprio il periodo in cui il nostro ex presidente Bolsonaro aveva vinto le elezioni. Noi andavamo in scena con la paura che entrasse qualcuno a farci del male. Abbiamo dovuto mettere delle guardie del corpo fuori dal teatro per proteggerci, perché c’era un clima di violenza.
In Italia porti in scena lo stesso spettacolo?
Lo spettacolo ha sempre l'anima di Kim ma non è quello che ho fatto in Brasile perché la realtà italiana è un’altra, grazie a Dio! Lo spettacolo è cresciuto grazie alla regia brillante di Fabio Massimo Iaquone ed Erminia Palmieri, i quali provengono dal teatro audiovisivo. Hanno reso lo spettacolo onirico e poetico grazie al contributo delle immagini audiovisive e alla musica live originale creata e suonata da H.E.R.
Quale necessità hai dovuto affrontare?
La prima necessità è stata quella di trovare l'artista trans da invitare a venire in scena con me. Perché è importantissima questa rappresentatività.
E’ stato difficile?
Trovare H.E.R. (l’artista trans n.dr.) non è stato casuale perché nulla è casuale. Carmen Pignataro, come molti altri, mi avevano parlato di lei perché è una grande artista. Quando riesco ad avere il suo numero la chiamo ma non riusciamo a concordare un appuntamento nell’immediato. Casualmente la incontro proprio la sera dopo in occasione di una prima. Le parlo del mio progetto e lei ne rimane entusiasta. Lei non solo è una grandissima artista ma è anche un'attivista per la difesa dei diritti delle persone trans. Mi ha poi presentato Leila Daianis, una donna splendida e un'artista eccezionale, presidente della associazione Libellula che opera in difesa dei diritti delle persone trans. Per questo spettacolo abbiamo il loro patrocinio.
E’ stato un incontro importante…
Certo, mi ha dato la possibilità di frequentare la comunità trans italiana e poter capire quello che stava succedendo qui. Ho arricchito ulteriormente il mio spettacolo, dopo aver vissuto in Brasile con le ragazze che fanno le prostitute, con quelle che fanno le professoresse, così come alla dentista, o con quella che è riuscita a diventare deputato.
Credi che le persone trans riescano a esprimere il loro valore nella nostra società?
Penso che il mondo stia cambiando, c'è molta più apertura, molta più consapevolezza. C'è questa nuova generazione fluida che è meravigliosa. Come madre vengo ripresa spessa da mia figlia sulle questioni del politicamente corretto. Lei vive nel rispetto delle scelte dettate dal sentire di ognuno, e mi ricorda sempre che “genere è violenza”, che ognuno sia libero di essere ed esprimersi come si sente. La nuova generazione ci salverà.
Cosa serve alla nostra società?
Serve l’accettazione del diverso e il rispetto soprattutto. Se una persona si sente maschio o femmina io l’accetto per quel che è, rispetto il suo sentire e non è più discutibile. E’ proprio il rispetto, l’accettazione e l’amore alla base di tutto. A volte mi dimentico pure che è la storia di una donna trans perché prima di tutto è la storia di un essere umano, in tutta la sua solitudine e i suoi sogni. C’è il suo desiderio profondo di amare e di essere amata, come tutti noi. Solo che in lei si amplificano le difficoltà ed è esattamente quello che mettiamo in luce in questo spettacolo.
Da dove si origina questa paura del diverso?
E’ una questione culturale e di educazione. Mia nonna è stata cresciuta dai miei bisnonni che nulla sapevano di queste tematiche, e mia madre è stata cresciuta da mia nonna che continuava a non sapere. E’ una questione proprio di apertura mentale, di dialogo, di comunicazione.
Pensi che la figura del transessuale sia troppo sessualizzata?
Nello spettacolo mettiamo in luce anche questo aspetto. In realtà vi è una ricerca dell'amore in qualsiasi forma. Una fuga dalla solitudine che è un qualcosa di molto profondo, molto personale, a secondo di chi la vive. Inoltre c’è l'emarginazione sociale intorno alla figura della persona trans, e tutto diventa più estremo. Ma resta il desiderio di avere una vita affettiva, di trovare un compagno o compagna che ti capisca fino in fondo e ti dia quell'amore che desideri.
C’è chi riesce ad avere una vita di coppia a tutti gli effetti ma la storia che raccontiamo è di una persona che non ce l'ha fatta e che ha lottato fino alla fine.
Cosa ti ha colpito di più delle persone trans?
Quello che mi ha colpito in alcune persone trans che ho conosciuto è la grande tenacia, la grande determinazione, soprattutto quelle che ce l'hanno fatta a costruirsi una vita nonostante la non accettazione delle famiglie e della società. Sono persone molto forti, intelligenti e sono riusciti a farcela da soli, nonostante la natura avesse previsto per loro una direzione diversa.
Una donna transessuale che non si è mai identificata con il genere che le è stato assegnato alla nascita.
Lucilla Diaz e con la partecipazione straordinaria di H.E.R.
https://www.vivaticket.com/it/ticket/kim-o-amor-e-a-cura/199360